Ci siamo ripetuti che dopo il Covid19 nulla sarebbe stato come prima. E come icona di questa affermazione è stato scelto lo smart working. La necessità di ridurre il movimento di persone in città ha chiuso in casa un grande numero di impiegati pubblici e privati e ci siamo accorti che, tutto sommato, la cosa ha funzionato.
Dalla diminuzione del traffico alla riduzione dell’inquinamento, da una diversa gestione del tempo libero alle mancate fatiche dell’uso dei trasporti, tutti quanti hanno cominciato a riempire le caselle dei “PRO” sulla diffusione di questo strumento.
Anche le aziende stanno valutando l’operazione e si sono rese conto che, a fronte di investimenti tutto sommato non impossibili ne costosi, la produttività non ne ha risentito, anzi, per certi versi è migliorata.
Adesso stiamo verificando il classico fenomeno tutto italiano di accogliere le novità come elementi salvifici senza però mettere in discussione le possibili ripercussioni. Molte grandi aziende infatti stanno “spingendo” fortemente per una diffusione massiccia dello Smart Working, considerandolo come un fattore di risparmio indispensabile per aggiustare i propri bilanci.
Ma si stanno valutando le ripercussioni? E’ difficile ancora prevedere quanti saranno i lavoratori che, al termine dell’emergenza COVID19 continueranno a lavorare in Smart Working. Sappiamo già però che IBM, Accenture, ENI, Intesa-San Paolo, Enel, ACEA stanno spingendo per una forte partecipazione al lavoro da casa nei prossimi mesi.
Questo significherà un aumento esponenziale di contenitori urbani (centri direzionali, centri uffici, sedi di società) che si svuoteranno, di contratti di affitto commerciale che verranno rescissi o ridimensionati.
Se una minore mobilità dei lavorati avrà un impatto benefico su emissioni inquinanti e traffico, un gran numero di attività collaterali a luoghi di lavoro subiranno un contraccolpo forse mortale: bar e ristoranti vedranno la loro attività pomeridiana collassare, alberghi non ospiteranno più i clienti business, le imprese di pulizia vedranno calare le commesse così come le imprese di manutenzione generale.
Questo produrrà una riduzione dei posti di lavoro in questi settori e un aumento degli spazi non utilizzati.
Difficile affrontare il tema dal punto di vista del lavoratore, perchè molto dipende dalle condizioni lavorative “in house”. Chi era costretto a spostamenti casa-lavoro onerosi o chi doveva ricorrere ad acrobazie per la gestione dei figli (pre-scuola, baby sitter) non potrà che apprezzare inizialmente una diversa gestione del tempo. Ma a lungo andare si dovrà fare i conti con alcuni aspetti critici:
- Sicurezza del “luogo di lavoro” casalingo (mancanza di sedie ergonomiche, impianti elettrici non sicuri, spazi non adatti, illuminazione non corretta)
- Aumento delle spese personali (l’aumento della presenza a casa aumenterà i consumi di elettricità e riscaldamento)
- Isolamento personale e conseguenti criticità psicologiche (già ora evidenziati da psicologi dopo pochi mesi)
- Difficoltà nella formazione professionale, molto spesso erogata fra colleghi di diversa anzianità
- Difficoltà a gestire l’alternanza lavoro-tempo libero.
Solo da un dibattito generale, che comprenda associazioni datoriali, sindacati, organismi di tutela della salute e Politica potrà essere regolata una corretta gestione di questo passaggio che da “epocale” rischia di diventare “estremamente critico